Post punk heroes al Circolo Magnolia, il The Pop Group provoca e diverte

Quando decidi di andare a vedere una band cult nata nel lontano 1977 non sai mai cosa aspettarti. Si rischia la classica rimpatriata dai toni giurassici in cui ormai i segni di decadimento sono sotto ai tuoi occhi. Oppure, puoi vedere della sana passione e un pizzico di follia dovuta al fatto che essere in pista da tantissimo tempo non è cosa da tutti. Ebbene, al concerto di ieri sera al Circolo Magnolia dei The Pop Group è accaduto proprio quest’ultimo fatto. Sala live raccolta e bancone vicino al palco come nei lerci pub di Bristol dove Mark Stewart diede origine al culto di una tradizione che viene connotata come post-punk. Musica popolare, non nel senso del genere o della vena melodica che si porta dietro, bensì nel fatto che si tratta di note destinate al popolo. Mentre infiamma nelle strade il punk, il The Pop Group immagina contaminazioni e cervellotiche urla accanto a traiettorie funk, afro-beat e fiati, tutte ancora in piedi nello show milanese di ieri sera. Non una scaletta statica di Honeymoon on Mars, albume dell’ottobre scorso, ma una rappresentazione della loro carriera, ripresa nel 2010 con una reunion.
Il sacerdote Stewart si presenta con un lungo cappotto da working class britannica in trasferta per un evento importante, per poi perderlo e ritrovare il fazzoletto che lo accompagna come il leggio alla sua destra. L’età avanza e con essa i suoi disturbi, ma il cantante dimostra ancora di amare la musica, agitandosi come un personaggio di Ken Loach a cui hanno rubato l’esistenza. Un agitatore che in Citizen Zombie fa il verso alle creature notturne, cantando con ugola volutamente sguaiata Zipperdown e Thief Of Fire.
Accanto a lui, l’attenzione di Bruce Smith alla batteria e alle percussioni, talvolta nascosto dalla grossa corporatura del cantante, chiuso in gabbia in cinque metri quadrati. Nonostante l’occhiale da ragioniere, è innegabile come Gareth Sager (chitarra ritmica, sassofono) sia l’altro pezzo da novanta, spogliando di ogni inibizione nella finale We are time. Mi domando cosa sarebbero i The Pop Group senza questo maestro del suono, che mette play anche alla keyboard e riproduce suoni di sirena, come in una Londra infestata dalla polizia.
Lungo il trascinate show, anche i più attempati presenti -una media superiore ai soliti live, ma diamine, chi l’ha detto che i concerti sono solo per i giovani- saltellano quando parte l’accordo crazy di We are all prostitutes, canzone simbolo che riporta la provocazione ad un livello superiore. Chiude la serata la mia tiepida considerazione: avessero tuti i nuovi gruppi questa energia, sarebbe tutto più facile.
Grazie al Circolo Magnolia per l’invito e a Ja La per la segnalazione

Testo a cura di Andrea Alesse

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