Chi ha vissuto la scena alternative italiana degli anni ’90 lo sa bene che stiamo parlando di un movimento dirompente, fondamentale per aprire le porte alla scena attuale, purtroppo spesso priva di quella carica emotiva di allora. Per conoscere ancora qualcuno che porta avanti quello spirito, quindi, sono andato a vedere il live degli Stella Maris al Circolo Ohibò, in un sabato sera che ha riacceso i riflettori su concetti di attitudine musicale e buone maniere.
Sala piena e di belle speranze non troppo giovanili (avvistato anche il maestro Giancarlo Onorato accorso per l’occasione), per un live che è il giusto rovescio della medaglia di una band nata per ricordarci che “saper suonare” non è roba da tutti, soprattutto se si lasciano a casa moderne brutture sintetiche e elettroniche in nome di una semplicità rock. Due chitarre, basso metodico, percussioni energiche, il tutto tenuto in piedi dalla personalità di Umberto Maria Giardini.
Gli Stella Maris iniziano così propagandando un set subito che è stato spesso di matrice rock, sulle narrazioni di Piovono Pietre e L’umanità indotta. I cinque, infatti, si sono fatti carico di un muro del suono che si alza a loro piacimento, stretto tra lucide riflessioni sulla ristrettezza intellettuale di chi si droga di cellulari e strumentazioni informatiche. È un umanità che si riscopre intorno alle loro note in un sabato milanese, mentre il pubblico saltella e il solido frontman del gruppo tiene il tempo di ogni nota. Umberto Maria Giardini si dimostra così in ottima forma, vestendo i panni di un direttore d’orchestra con una maniglia a sonagli che si muove all’unisono con i raccordi di chitarra di Ugo Cappadonia, decisi e pronti per palchi anche più grandi.
Il set è naturalmente devoto al loro omonimo album, con due nuovi brani che vengono presentati in anteprima, anche per testare il polso di una platea che si è dimostrata attenta e anche coinvolta, soprattutto quando Quella primavera silenziosa ha riacceso i toni più poetici e sensibili. Chi li conosceva, inoltre, ha potuto anche riconoscere al live le sonorità smithsiane di Eleonora no, uno dei bani più apprezzati che hanno partorito gli Stella Maris, in un racconto straniante che profuma di arpeggi scozzesi e lande da attraversare a piedi scalzi.
Dopo aver ascoltato dream pop di Tutti i tuoi cenni e altre melodie di sublime acustica ce ne torniamo allora a casa, dritti a rimpiangere la ciata scena anni ’90. O forse no, perché con gli Stella Maris, la scena è ancora viva.
Grazie a Costello’s
Testo a cura di Andrea Alesse
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