Alzi la mano chi avrebbe detto che il Festival di Sanremo n.66 sarebbe stato appannaggio degli Stadio? Modestamente dopo aver ascoltato tutti i brani, ma soprattutto dopo la serata delle cover, noi ci siamo convinti che loro potessero essere i veri outsider della manifestazione. “Un giorno mi dirai” è parso un pezzo maturo e piacevole e così per la band bolognese, storicamente cenerentola alla rassegna rivierasca, è arrivata la palma d’oro, ma anche l’unanime consenso della critica e del pubblico. Pochi minuti dopo la cerimonia di premiazione abbiamo avuto la possibilità di farci raccontare le loro emozioni. A parlare è stato Gaetano Curreri, leader carismatico del gruppo. Ecco cosa ha raccontato.
Quattro premi su quattro: Festival, miglior musica, sala stampa e radio private. Meglio così davvero non sarebbe potuta andare… Davvero bravi, ma alla fine siete stati premiati da un pubblico “agee”..
«Ma non direi, io penso che anche i giovani ci seguono. Ce ne accorgiamo ai nostri concerti dove vediamo sia quelli che amano il nostro repertorio, sia quelli che chi anno scoperto recentemente. Evidentemente vedono in noi una band in grado di proporre musica vera e che lo fa da moltissimi anni. Musica che cantiamo direttamente o che proponiamo agli altri. Oggi è la festa degli innamorati e per noi è una festa doppia perché amiamo la musica, è la nostra vita. Abbiamo sempre avuto un legame forte tra di noi ma, come abbiamo dimostrato nella serata delle cover, questo legame è saldo anche con chi non c’è più. Perché abbiamo vinto? Forse perché abbiamo dato una sbirciatina al nostro passato, rivolgendoci al futuro. La nostalgia del passato è la nostra forza, a condizione che non si trasformi in malinconia».
Siete d’accordo se diciamo che tutto è cambiato a partire da giovedì sera, quando avete riportato sul palco il volto di Lucio Dalla?
«Dalla sera della cover siamo ritornati ad essere gli Stadio: una band che fa musica da 35 anni. Forse la prima sera eravamo un po’ intimiditi dal palco, senza dimenticare che io ho avuto un problema con il ritorno in cuffia. Senza contare che non abbiamo mai avuto un grande feeling con il festival, visto che siamo arrivati sempre al fondo della classifica. In effetti quando siamo partiti con La sera dei miracoli abbiamo improvvisamente ritrovato la nostra identità. Anche Lucio da lassù si è comportato come quando io ero il suo tastierista. Se sbagliavo una volta mi guardava storto, ma se proseguivo mi tirava una zoccolata e poi un mazzo di chiavi di quelli pesanti. Ecco io sono arrivato al secondo sbaglio e poi mi sono concentrato per evitarmi il mazzo di chiavi».
L’anno scorso non siete entrati tra i big, nonostante vi foste candidati. E’ vero che il pezzo “bocciato” nel 2015 è lo stesso che quest’anno ha vinto?
«Sì il pezzo era proprio questo, anche se il nastro che abbiamo mandato conteneva un provino un po’ troppo cheap (economico ndr) per gli Stadio. Quando tu ascolti un nostro brano devi sentire gli strumenti di tutti. In quel nastro mancava la chitarra di Andrea Fornili, il basso di Roberto Costa, la batteria di Giovanni Pezzoli. In poche parole non c’era il nostro suono e, nonostante le parole siano molto belle, crediamo che sia proprio la base musicale il valore aggiunto. Tutto sommato è andata bene così, anche perché non avevamo un disco pronto. Avremmo rischiato di portare al Festival un solo pezzo, senza sfruttare l’onda lunga del festival».
Quindi uscirà anche un disco?
«Certo e si chiamerà Miss Nostalgia. Oltre al pezzo del Festival (Un giorno mi dirai ndr), ci sono altre 11 tracce meravigliose, che regalano suggestioni fantastiche. Basti pensare che c’è un’incursione di Vasco Rossi (Tutti contro tutti ndr), ma anche il suono del sax di Lucio Dalla».
La vostra carriera è lunghissima, ma è stata contrassegnata anche da momenti non proprio felici, forse a causa della sottovalutazione da parte della critica e delle case discografiche. Questa vittoria è forse una sorta di risarcimento. A chi la dedicate?
Roberto Costa «Questa vittoria la dedichiamo a noi stessi e alle nostre famiglie che ci hanno sostenuto. In particolare a mio padre, mia moglie e ai miei due figli, che appena un anno fa hanno rischiato di perdermi in seguito ad un incidente stradale».
Giovanni Pezzoli: «Dedico questa vittoria alla nostra storia, al nostro staff e chi ci è stato vicino. Ne abbiamo mandati giù dei bocconi amari e questo ci è servito come esperienza, per evitare di fare altri errori. Per noi è un coronamento di una carriera. Onestamente eravamo già contenti di aver vinto il trofeo delle cover, ma vincere il Festival proprio non ce l’aspettavamo».
Gaetano Curreri «E’ una rivincita anche nei confronti di chi diceva che noi eravamo a fare i dischi solo se c’era Lucio Dalla e che non eravamo dei veri big in grado di partecipare a Sanremo. Eppure non è mai stato così, abbiamo sempre cercato di andare avanti, puntando alla qualità e credo che in questi anni qualcosa di buono l’abbiamo fatto».
Oggi siete qui a festeggiare. Da domani cosa succederà?
«Da domani ritorneremo a fare gli Stadio, ossia faremo concerti in giro per l’Italia. Noi viviamo di palco, dell’affetto della gente. E’ il nostro valore più grande e non ci vogliamo rinunciare».
La vittoria arriva proprio nel giorno in cui ricorre la morte di Marco Pantani. Voi a quel campione avete dedicato una canzone…
«Marco è un figlio della nostra terra. Quando questa sera mi hanno consegnato il trofeo ho pensato immediatamente a lui, ma anche a tutti quelli che non ci sono più. Grazie alla colonna sonora del film dedicato a Pantani abbiamo vinto anche il nastro d’argento al David di Donatello e ma non avevamo al Festival e questo strideva un po’. Ora il cerchio si è chiuso».
La vostra artigianalità fa emergere anche una città come Bologna, di cui voi siete un simbolo..
«Bologna sta vivendo un momento di stanchezza. Dopo anni che aveva vissuto per la musica le cose si sono spente. Oggi per fortuna le cose stanno cambiando. Speriamo che questa affermazione possa essere da stimolo per tanti talenti inespressi. Certo c’è bisogno anche di una svolta politica, che consenta a questi giovani di poter emergere. Servono agevolazioni fiscali e sconti che diano una mano».
L’ultima domanda riguarda la campagna sui diritti civili, a cui hanno aderito quasi tutti i partecipanti. Voi siete uno dei tre artisti che non avete indossato il nastro arcobaleno. Non avete voluto aderire per scelta politica?
«Assolutamente. Anzi, pensiamo che la legge sulle unioni civili debba essere approvata al più presto possibile. La famiglia può essere formata da un uomo e una donna, ma anche da due donne o da due uomini. Non abbiamo messo nulla addosso, ma non per questo non appoggiamo la campagna. In compenso indossavo la spilla dei Beatles. Ecco lo confesso sono un loro fan».
Foto e testo di Vincenzo Nicolello