Elasmotherium, freddo ed emo-folk: è One Glass Eye

Autore: One Glass Eye

Album: Elasmotherium

Etichetta: V4V Records, Out Stack

 

One Glass Eye, ovvero Francesco Galavotti, si denuda per un attimo delle vesti di urlatore emozionale e chitarrista degli emiliani post-hardcorers Cabrera (ottimo il loro Nessun Rimorso), per assaporare ispirazioni di profondi e artefatti suoni che abbracciano i terrori del cantautorato folk e oltre. Produce quindi Elasmotherium, disco dal titolo che richiama un animale simbolico, un enorme rinoceronte che vive nel freddo, mentre le musiche di fondo assumono il senso di un disgelo.

Solo, con una chitarra acustica e le sue intenzioni desiderose di trasmettere calore e passione, One Glass Eye ci parla, tra l’altro, di animali domestici, solitudini, videogiochi, maglioni usati, per poi fissare l’attenzione su di un tatuaggio che non arriverà̀ mai, solo perché́ la pelle non potrebbe reggerne l’urto. Una tradizione sonora rumorosa che salta la staccionata per farsi candore in 20 minuti divisi tra nove ballad.

A molti il singer modenese ricorderà gli accordi di Bright Eyes o Kurt Vile, mentre io preferisco associarlo a un personaggio underground solido e comunicativo proprio come lui. Sto parlando di Gipsy Rufina, cantante girovago dall’aspetto bikers anche lui proveniente dal mondo hc-punk. I due, nonostante chiare differenze nell’impostazione del suono, hanno infatti in comune la loro passione cruda e prorompente, indirizzata da Galavotti verso un math folk ondivago in cui compaiono xilofono, wurlitzer e vari rumori di fondo. Registrato nel marzo 2016, Elasmotherium ha in sé il magico segnale di un lavoro che parla di malinconia divisa tra arpeggi dolci, come nella prima traccia Kings With Swords for Hands. Compare inevitabilmente la nostalgia (Dogs&Co), ma anche il peso delle relazioni familiari (Cannonball), sempre stretti tra sognanti accordi di guitar acosutic e cantato in inglese. Molto intensa è chiaramente Prehistoric creature, in cui lo xilofono si imbatte in dichiarazioni forti (this house will never be a home) e quotidiane battaglie. A chiudere ci pensa l’evocativa e pigra Ballad Motor Woks, brano che snocciola le contraddizioni insite in un artista sincero ed espressivo, testimone id un rumore interiore che è spesso più forte di quello suonato con rabbia su di un palco.

Testo a cura di Andrea Alesse

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