Autore: DIVA
Album: Divadelica
Label: INRI
Cosa ci fanno insieme retro-disco pop e creatività? Ma anche synth fascinosi e citazioni di spessore che spaziano dal mondo politico al musicale?
Facile a dirsi, se a rispondere ci pensano i Diva, progetto messo insieme dall’estro di Davide Golin, italiano del nord est che dopo una lunga esperienza estera riprende in mano un discorso di musica colorata e assolutamente godibile, come le sue esibizioni dal vivo. Una festa, l’album “Divadelica”, nella quale gli invitati sono Sandy Marton (il ritmo di Spiaggia a Milano, su tutte) e la Rettore, seduti in una panchina davanti al vecchio Plastic Club con qualche membro del collettivo DFA e i Rapture ad ascoltare curiosi.
Un disco che suona fresco e ballabile, in un mix di fluorescente e ammiccante animo pop che viene fuori dagli anni ’80, con il timbro insospettabile di un Golin che la prende con ironia e animo da club culture sin dall’iniziale Aperidiva. Una canzone che è un’apripista perfetto per introdurci in un progetto mirabolante e dal forte gusto estetico, a cui difficilmente si resiste. Tutti a muovere le chiappe, allora, con i fasti di un epoca musicale che apprezza vocoder e linguaggi sexy (Automobile) pronti a portarvi nel mondo magico di un Italia che non esiste probabilmente più. Un Italia rigorosamente a colori, che risalta direttamente tra amori consumati in macchina e primi spettacoli televisivi figlio del pre-Berlusconismo facile(Il paradiso su Retequattro). Sembra a tratti che i synth dei escano direttamente da “Italy&Italy”, progetto fotografico importante del Collettivo CesuraLab sulla riviera romagnola degli anni ’90, quell’Italia da bere che i Diva cantano con una frivolezza e un gusto pop da leccarsi i baffi.
La bomba esplode poi definitivamente con il racconto Divadelica, una canzone dal groove poliziesco alla “Napoli a Mano armata”, che mischia rivalità calcistiche e memoria politica anni settanta, tutto per raccontare di una storia a tratti impossibile. È l’amore passionale tra una militante di destra e un giovane progressista, ammiccante come il ritornello e le percussioni che escono dal beat riuscito dei Diva. Una passeggiata lungo un epoca che non ritorna, per decifrare la fine delle ideologie, magari ballando sino a tarda notte con un piglio funkeggiante e delle parole che si fissano in testa di noi vecchi nostalgici.
Una cosa è certa, se avete perso il suono dei Diva dal vivo, come al Festival Mix di Milano, dovete quindi rimediare. I nostri, infatti, saranno presto di nuovo in giro, per farvi anche pensare intorno al loro basso iperbolico di Un uomo, una donna, racconto che chiude il cerchio con una punta di melodia acida e la strategia alla Fausto Papetti sempre viva.
Andrea Alesse
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