Ci siamo innamorati dl loro sound, un misto di energia a base di sensazioni afro-beat e di istinti primordiali che si legano con un spund fresco e innovativo. Mettici dentro delle presenze importanti come quelle di musicistio che sono delle ferme certezze della musica italiana, ed il gioco è fatto.
Dopo la pubblicazione del loro omonimo album (qui la nostra recensione: https://dev.easyteam.org/thefrontrow/i-hate-my-village-lrecensione/) ecco allora che abbiamo intervistato gli I Hate My Village. Ci rispondono Adriano Viterbini e Fabio Rondanini, in cinque domande lampo, ma mai banali.
Parliamo del vostro nome. I Hate my village è un invito ad andare oltre il provincialismo è amare il mondo tutto?
FABIO: é un invito a riflettere sui nostri istinti più primordiali, siamo legati ad un elastico pronto a ritirarci indietro non appena smettiamo di lavorare su noi stessi. é un disco sull’amore, per la musica nello specifico. É un sentimento che va nutrito ogni giorno con grande difficoltà. Il passo tra odiare e divorare è breve ed in discesa. Volevamo intraprendere un percorso volutamente in salita.
Suonate elastici e freschi contro ogni barriera musicale. Dietro un suono multietnico c’è anche qualche fine psudo politico in questi triste momento storico?
ADRIANO- La musica è la cosa piu’ importante, quello che ci interessa è realizzare grande musica. Siamo gente curiosa che non ha confini, pronta ad accogliere tutti gli stimoli artistici che piu’ emozionano, abbiamo le antenne sempre alzate e ci sentiamo liberi, figli del mondo. Il disco “i hate my village” deve tanto alle esperienze fatte con Bombino e Rokia Traore’ musicisti africani, ai viaggi e gli incontri avvenuti in giro per il mondo.
Al di là dei nomi c’è un collettivo. Come vi siete messi insieme musicalmente?
FABIO: la scintilla é nata tra me ed Adriano quasi per caso, il resto è stato assecondare le cose come ce le trovavamo davanti. Già nell’ultimo disco solista di Adriano si può leggere la genesi del progetto, Alberto ospite Marco alla produzione ed un pezzo chiamato “tubi innocenti” con me alla batteria che è a tutti gli effetti un debutto. Ci piacerebbe che questo disco fosse solo l’inizio di mille collaborazioni, che fosse una sorta di laboratorio in cui gli attori diventino secondari alla musica.
Ci sono in particolare dei riferimenti precisi che avete fatto vostri nella creazione del sound? Per esempio, artisti africani che vi hanno ispirato?
ADRIANO- Una cosa caratterista di questo album è l’utilizzo degli strumenti, chitarra/batteria/basso/tastiere provando a farli suonano talvolta come altri strumenti (simili ad una kora, simili a delle voci etc…) ci piacciono i musicisti che non sono troppo affezionati ai propri strumenti, usati in modo standard a volte potrebbero avere dei limiti espressivi. Ci piace sperimentare, ma ci piace essere pop. I riferimenti principali per questo disco siamo noi stessi, gia dalle prime session in sala io e Fabio avevamo un nostro suono, originale mai sentito prima. Poi Alberto ha illuminato tutto con delle linee vocali sorprendenti, immediate, mai banali.
Tra poco parte il tour. Che cosa dobbiamo aspettarci?
FABIO: divertimento! Ci piacerebbe fosse un rituale, la celebrazione dello stare insieme e del riconoscersi. Il pubblico italiano é spesso poco incline al ballo e batte le mani in battere! Non il nostro, almeno non ancora.
Andrea Alesse
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