C’è un musical che continua a mietere successi. Si chiama Grease ed è prodotto dalla compagnia de La Rancia. La nuova edizione, che attualmente sta mietendo consensi in molti teatri italiani vede come attori protagonisti tre giovani performers: Giuseppe Verzicco che interpreta il ruolo di Danny, Beatrice Baldaccini che invece è l’indimenticabile Sandy e Gianluca Sticotti che da qualche hanno impersona il “bullo” Kenickie.
Tre performers, con tanta gavetta alle spalle, che abbiamo incontrato, organizzando questa chiacchierata a ruota libera. Ecco cosa hanno raccontato.
Quando è uscito il film voi non eravate ancora nati.
Beatrice: «Giuseppe era già nato! E’ vero sono molto giovane, non ho visto il film ma Grease lo conosco da sempre proprio grazie a questo musical. I miei genitori me l’hanno fatto vedere quando ero ancora piccolissima».
Giuseppe: «In realtà no, non ero nato. Il nostro è un gioco. Ci amiamo, ma come in tutte le coppie ci sono dei momenti in cui ci prendiamo in giro, perché se no alla fine si danno per scontate troppe cose. La stessa cosa è capitata a me. Questo spettacolo passa in televisione almeno due o tre volte all’anno, ma grazie ad un mio amico che era in un cast passato ho avuto la fortuna di vederlo anche al teatro e da quel momento mi sono innamorato».
Cosa è successo quando vi hanno dato l’opportunità di entrare nel cast? Siete entrati immediatamente nei ruoli da protagonisti?
Giuseppe: «Io sono letteralmente impazzito. Ho fatto tutta la gavetta, partendo dal corpo di ballo, fino ad arrivare al ruolo di Danny, che mi è stato assegnato dopo un provino. Al termine della selezione non ero molto ottimista, visto che molto spesso le parti principali vengono assegnate a volti noti. Per fortuna la Compagnia si è fidata di me, per un progetto così importante»
Beatrice: «Io ho fatto molta gavetta in seno a questa compagnia teatrale (La Rancia ndr), ma non avevo mai recitato in Grease. Ho iniziato con Cenerentola. Appena è uscita la possibilità di partecipare alle audizioni non ci ho pensato un attimo. Quando sono salita sul palco per la selezione mi sono trovata di fronte Giuseppe ed ho capito subito che eravamo la coppia perfetta. In realtà già una decina di anni fa, nei provini di High School Musical eravamo stati messi in coppia, presero lui e non me. Ma era nel destino che prima o poi avremmo recitato insieme».
Sentite il peso della responsabilità, nel recitare ad uno spettacolo che ha già raccolto milioni di spettatori?
Gianluca: «In realtà sono al quarto anno di Grease e credo che questa sia in assoluto la più felice e riuscita a livello di cast. E’ vero all’inizio il sentimento di ansia era molto forte, anche perché la storia la conoscono davvero tutti, dal bambino di cinque anni, all’adulto, che magari era adolescente ai tempi del film. E’ chiaro che immediatamente ti poni il dubbio di essere all’altezza, ma poi ti rendi conto che il musical è uno spettacolo in continua evoluzione, che cambia di edizione in edizione e quindi non deve temere confronti con il passato. Rimane la storia, certo, ma per il pubblico credo che conti soprattutto l’energia».
Giuseppe: «Credo che negli anni sia migliorata moltissimo la qualità. Ma non voglio esaltare la nostra esibizione, intendiamoci. I performer che oggi si avvicinano al cast, sono cresciuti professionalmente, basti pensare che molti dei colleghi usciti da questo musical oggi si ritrovano a lavorare anche all’estero. Diciamo che siamo apprezzati».
Cosa è cambiato?
Gianluca: «Credo che sia più moderno, è stato contaminato con un’iniezione di rock ed anche di hip-hop, ma c’è anche qualcosa di Muccino e di americano contemporaneo. Quindi si tratta di un Grease innovativo».
Giuseppe: «La crescita professionale di cui parlavo prima, ha consentito a La Rancia di cambiare molte cose. Costumi, coreografie, regia, arrangiamenti, insomma un po’ tutto. I produttori hanno sentito l’esigenza di fare un salto di qualità. Questo ha fatto in modo che solo qualcuno del vecchio cast sia stato confermato nel tempo».
Moltissima gente conosce il film Grease, che ha le canzoni cantate in inglese, mentre per il musical sono state tradotte. Come è stata accolta questa idea?
Beatrice: «La mia generazione conosce il solo Grease in italiano. Perché la prima versione, quella per intenderci lanciata da Lorella Cuccarini, aveva già i testi tradotti. In compenso per me è stato difficilissimo approcciare le nuove traduzioni, che sono cambiate rispetto agli esordi».
Giuseppe: «E’ vero spesso fuori dal teatro incontriamo persone arrabbiate che ci chiedono il motivo della nuova traduzione del testo. Il pubblico segue lo spettacolo ed è abituato a cantare con noi. Questo Grease non arriva dall’America ma è nato con la Cuccarini e Ingrassia. Da sempre è un evento gigantesco, da paragonare a Notre Dame de Paris o Rocky Horror Show».
Insomma anche questo Grease è diventato un po’ come Rocky Horror Show, in cui il pubblico non solo assiste, ma partecipa travestendosi…
Beatrice: «Io recito in quello spettacolo e devo dire che è esattamente la stessa cosa. La gente viene con l’outfit degli anni ’50, esattamente come capita di vedere persone in giarrettiera e calze a rete che canta e balla in Rocky. Diciamo che l’unica differenza è l’interazione, che in Grease non ci può essere».
In Italia il musical fa molta fatica ad affermarsi. Basta andare a Londra per trovare decine di teatri che offrono repliche e repliche di spettacoli che sono in cartellone da decenni.
Beatrice: «Credo sia un problema culturale».
Gianluca: «E’ così. Purtroppo in Italia non c’è l’abitudine a muoversi per andare a vedere gli spettacoli. Proprio per questo motivo le produzioni sono itineranti, costrette a raggiungere gli spettatori. In questo modo i costi di gestione e di spostamento sono enormi, al punto che possono creare un decadimento nella qualità degli allestimenti, rispetto ad uno spettacolo del West End, dove lo spettacolo e le scenografie rimangono fisse per molto tempo. Gli italiani sono persone comode e vogliono avere il teatro sotto casa. E’ un peccato perché l’Italia è la capitale del teatro musicale, basta vedere quello che hanno fatto Garinei e Giovannini».
Giuseppe: «Io non credo sia così. Se analizziamo l’apporto economico che questo genere di spettacolo offre è secondo soltanto ai concerti. La prosa viene dopo. Quindi il musical emerge, anche se è costretto a vincere la concorrenza del teatro classico che ha sicuramente costi inferiori, in termine di cast e di strutture. Questo circolo vizioso determina una crescita del costo del biglietto, che induce la gente a vedere soltanto titoli collaudati. Un’altra difficoltà deriva dal fatto che il teatro musicale non ha supporto statale. I performers come noi sono figure che per lo stato non esistono e quindi dobbiamo fare con i nostri mezzi».
Beatrice: «Noi siamo fortunati, perché lavoriamo con un prodotto sicuro. I titoli nuovi faticano ad affermarsi, perché un padre di famiglia, prima di sborsare centinaia di euro per andare a teatro, vuole essere sicuro di poter assistere ad uno spettacolo di qualità».
Gianluca: «La crisi è dovuta anche al fatto che per alcuni anni sono fiorite numerose compagnie squattrinate, che ha proposto spettacoli brutti. Oggi la gente non si fida più».
Giuseppe: «E’ un peccato, se pensiamo che in giro per l’Italia c’è uno spettacolo come Next to normal che è fantastico, ma proprio perché non ha un titolo conosciuto viene acquistato dai teatri molto raramente. Il cast è pieno di talenti e in America ha vinto un sacco di premi. Il futuro sarà di vedere sempre meno di frequente produzioni di eccellenza, ma in compenso si punterà sui soliti nomi televisivi, che attireranno pubblico per la notorietà e non per la qualità».
Se non aveste fatto questo lavoro, cosa sareste oggi?
Beatrice: «La scenografa».
Giuseppe: «Non saprei: ho sempre sognato di fare questo mestiere».
Gianluca: «Probabilmente l’architetto, il mestiere per cui ho studiato».
Foto e Intervista di Vincenzo Nicolello
“Foto non ufficiali, su gentile concessione della produzione. Teatro Sociale, Alba – 1 marzo 2016”
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