Appuntamento venerdì 26 gennaio, ore 21.30, presso il Charleston Club, nel cuore della Capitale (Via di Porta Labicana 52, Zona San Lorenzo), con la presentazione live di “Sotto l’equatore”.
The Front Row ha incontrato il poeta e cantautore Emanuele Inserto.
E’ uscito a dicembre su tutte le piattaforme digitali e su cd il terzo lavoro in studio di Emanuele Inserto, dal titolo “Sotto l’equatore”.
L’album, distribuito da La Stanza Nascosta Records di Salvatore Papotto, è stato anticipato dalla pubblicazione del singolo “Canto di Eco”, un pop-rock d’autore dal retrogusto new wave accompagnato dal videoclip ufficiale per la regia di Dario Magnolo.
Riferimenti biblici (Salomè,San Giovanni) ed alla mitologia ellenica ed egizia (Eco, Amon-Ra), esotismi e citazionismo si affacciano in testi a tinte poetiche, nei quali l’antico è il bacino di elezione da cui attingere metafore e fascinazioni, funzionali alla rappresentazione di una condizione umana nel suo essere senza tempo.
Nella title- track, ad esempio, i riti in onore della dea Yemanja sono il pretesto per una celebrazione dell’amore passionale a ritmo quasi di “Lundu”, considerato uno dei capostipiti della Musica Popular Brasileira.
Retrospettiva cantautorale e new wave italiana si incontrano in un sound contaminato, che fonde radici italiane e suggestioni musicali internazionali, con una particolare predilezione per la musica afrocubana e iberica.
Lei è chitarrista, cantante, scrittore di canzoni e poeta. In quale di queste “declinazioni artistiche” si sente maggiormente a suo agio?
Diciamo che “scrittore di canzoni” è quella che sento più vicina, per il semplice fatto che la pratico da più tempo seriamente e con continuità. Quella di “poeta” e ancor più quella di “cantante” sono invece strade che ho intrapreso, con la dovuta serietà, soltanto di recente. Per quanto riguarda la chitarra so di essere atipico perché ho suonato molto di rado musica “anglofona” privilegiando repertori italiani, sudamericani e iberici. Questo aspetto di diversità rispetto alla maggioranza dei chitarristi cresciuti a pane e rock ‘n roll a volte mi fa sentire un po’ a disagio.
E’ stato allievo di Enrico Petrucci, ci racconta qualcosa del vostro incontro e della collaborazione che ne è conseguita?
Io non credo per niente alle casualità, specialmente per quanto riguarda gli incontri e quello con Enrico Petrucci è stato senza dubbio un incontro scritto nei destini di entrambi. Quando l’ho conosciuto ero un ragazzo molto triste e schivo, lui invece, un govane uomo estroverso ed esuberante. Due personalità opposte che si compensavano e spesso si sopportavano a vicenda. Abbiamo fatto molte cose: dischi, concerti, diversi progetti musicali, ma ad un certo punto io ho sentito fortemente l’esigenza di esprimermi artisticamente a mio modo e di avere maggiore libertà.
“Come d’autunno” nel 2003, “Millefuochi” nel 2019 ed il recentissimo “Sotto l’equatore”, appena uscito per la Stanza Nascosta Records…ci racconta la sua discografia?
Quelli che ha citato sono i tre album che io riconosco come ufficiali. Ce ne sono poi altri che non nomino e considero “prove di volo”. Più che altro sperimentazioni di scrittura e di lavoro in studio. Lavori che spesso hanno trovato poi una “quadra” più soddisfacente appunto nei dischi “ufficiali”, che sono molto diversi tra loro, avendo avuto genesi differenti in circostanze assai peculiari.
Si può dire che “Come d’autunno” sia un album uscito fuori tra mille peripezie e imprevisti, che risente certamente della mia inesperienza di allora e di una certa scarsità di mezzi. Ciò nonostante lo ritengo ancora oggi molto espressivo e originale.
“Millefuochi” invece è un disco potente, dal suono deciso, con arrangiamenti ben definiti, seppure con qualche scelta un po’ troppo “azzardata”. Molto influenzato dal rock e dalla new wave, anche per via dei musicisti che vi hanno lavorato e che insieme a me hanno scritto le parti.
Discorso ancor diverso riguarda “Sotto l’Equatore” che considero il primo album “mio” a tutti gli effetti, dove ho scritto quasi tutte le parti, ne ho diretto interamente la produzione e insomma, mi sono messo in gioco al 100%.
In particolare, “Sotto L’equatore” è costellato di collaborazioni…
Sì. E credo che una menzione speciale stavolta la meritino Giuseppe D’Ortona e Christian Antinozzi, rispettivamente batterista e bassista/contrabassista. Due professionisti pazzeschi che insieme hanno creato una trama ritmica al di sopra delle mie aspettative. Pur non conoscendosi e non avendo mai provato insieme i miei pezzi, hanno registrato le tracce suonando in studio contemporaneamente, ottenendo in pochissimo tempo ottimi risultati. Un’altra collaborazione importante è stata quella con Katia Picciariello, mia cara amica con una voce meravigliosa e che insieme a me canta nell’ultimo brano dell’album, intitolato “Buona fortuna”.
Il brano di “Sotto l’Equatore” che consiglierebbe di ascoltare a chi volesse, per la prima volta, avvicinarsi alla sua produzione?
“Canto di Eco”.
Quanto conta per lei la dimensione live?
Tantissimo. La condivisione estemporanea con il pubblico è fondamentale e secondo me anche un po’ “dovuta”, in quanto si scrive e si produce musica affinché il pubblico possa goderne. Se non si fanno concerti è un po’ come aver prodotto e scritto musica soltanto per se stessi.
In pandemia è stato composto “Sotto l’Equatore”. Ha vissuto dunque il periodo dell’emergenza sanitaria in modo “fecondo”? Che ricordi ha della fase delle restrizioni?
Scrivere musica durante la pandemia mi ha aiutato a superare quel triste periodo e a migliorarmi come artista. Se non avessi avuto la musica sarei impazzito.
Per quanto riguarda i miei ricordi di quei mesi ancora stento a credere che certe cose siano accadute. Il terrorismo mediatico così massiccio e persistente ha generato nella popolazione patologie psicologiche gravi. Il coprifuoco e altre restrizioni senza senso hanno danneggiato enormemente la società, che ancora oggi ne paga conseguenze amare.
Il cantautore italiano più sopravvalutato in assoluto?
Ce ne sono tanti ma direi che Achille Lauro porta la bandiera.
Quello più sottovalutato?
Direi che le cantautrici in genere sono parecchio sottovalutate. Mi viene in mente Marzia Stano, in arte “Una”, ma ce ne sono tantissime.
C’è un libro che le ha cambiato la vita?
Leggo tantissimo e i libri che mi hanno cambiato la vita sono parecchi, ma “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Petr Ouspensky ha letteralmente stravolto la mia visione della realtà.
Se dovesse definire la sua musica con tre aggettivi?
Ritmata, malinconica, sognante.
Intervista a cura della Redazione
Si ringrazia Verbatim Ufficio Stampa