Intervista a Napo

Quella volta con Fernanda Pivano parlammo di De André, amore e libertà

The Front Row ha incontrato Napo, sette dischi all’attivo (di cui due con brani originali) e migliaia di concerti in Italia e all’estero.

Negli anni ha collaborato con veri e propri mostri sacri della musica italiana- Armando Corsi, Mario Arcari, Giorgio Cordini, Ellade Bandini, Pier Michelatti, PFM, Enrico Ruggeri, Andrea Mirò, solo per citarne alcuni- e calcato i palchi più prestigiosi, dal Rolling Stone di Milano al Teatro Carlo Felice di Genova, con passaggi su emittenti radiofoniche e televisive nazionali.
Attualmente considerato dalla critica, in modo unanime, tra le più autorevoli voci legate a Fabrizio De André continua la sua attività di interprete-con una cifra fortemente personale- in Italia e all’estero, proponendo un repertorio che spazia tra la scuola genovese e quella francese.
Sarà proprio Napo a dare voce alle parole di De André nello spettacolo di arti varie “Scatole d’argento”; l’appuntamento- imperdibile anche per la monumentalità dello show-è per il prossimo 4 agosto a Cossoine, in provincia di Sassari.

Lei ha reinterpretato “La stanza dei pesci” di Oliviero Malaspina, tratta dall’album “Benvenuti mostri” (Target/ Sony, 2003). E’ stato difficile confrontarsi con questo autentico capolavoro?

La difficoltà è stata entrare nel personaggio. La canzone parla di due amanti ormai anziani, due castelli diroccati, e quando l’ho cantata, nel 2009, ero ancora giovane e aitante! Oggi la interpreterei diversamente, e tra dieci anni ancora meglio.
E’ un po’ di tempo che vorrei ricantarla ma tra i vari travasi di hard disk è andato perso il progetto originale e quell’arrangiamento mi piaceva molto, impreziosito tra l’altro dall’oboe di Mario Arcari. Dovrei ricominciare tutto da capo, prima o poi lo farò, intanto più passano gli anni meglio è!

 

Tra le canzoni di De Andrè che ripropone nel suo collaudatissimo e personale omaggio a Faber, ce n’è qualcuna cui è più legato?

Beh, quelle che mi portano via il cuore difficilmente riesco a proporle nelle piazze, si tratta di “Cantico dei drogati”, “Amico fragile” e “La domenica delle salme”. Sono, come dire… poco ballabili, ecco.
Tra quelle che riesco a suonare c’è sicuramente “Se ti tagliassero a pezzetti”, una canzone che parla di libertà, o forse di anarchia, o forse di tutte e due.
Mi piace l’idea positiva che ti lascia, la certezza, non la speranza, l’assoluta certezza che certe idee tu puoi provare a soffocarle, a comprimerle, a piegarle ma non riuscirai mai ad estirparle alla radice. Prima o poi rinasceranno, com’è giusto e naturale che sia.

 

Faber libera tutti con Alter Echo String Quartet ripropone “Non al denaro non all’amore né al cielo”, un viaggio nell’Antologia di Spoon River .
«Io trovo che la poesia di Fabrizio è infinitamente più umana, più ricca, più mediterranea, più aderente alla passione dei giovani, come se fosse messa nella bocca di un giovane, quella di Masters è piuttosto l’idea che probabilmente un uomo avanti con l’età sogna che possa essere successo con un bacio, io la trovo una grande poesia» dichiarò Fernanda Pivano. Lei come la pensa?

La penso esattamente come la Nanda, tra l’altro mi avvicinai all’antologia di Master casualmente da giovanissimo e non mi piacque per niente, mentre mi innamorai immediatamente del disco di De André.
Parlai anche di questo con la Pivano vent’anni fa. Fu un incontro bellissimo e lo ricordo con grande tenerezza.
Mi fece chiamare dalla reception dell’albergo di Santa Margherita Ligure dov’era ospite del comune per qualche giorno, io ero nella casa in campagna a zappare l’orto e con una tacca sul telefonino capivo una parola su dieci ma appena realizzai di chi si trattava saltai immediatamente in macchina con tutta la terra addosso.
Entrai nella hall del lussuosissimo hotel destando il disgusto collettivo e, tappandosi il naso, mi condussero immediatamente da lei in spiaggia, sotto l’ombrellone; sotto i 40 gradi di agosto la trovai vestita come un Tuareg del deserto che sorseggiava whisky e succo di limone. Parlammo tutto il giorno e il giorno successivo di amore e libertà tant’è che il mio secondo disco lo intitolai proprio “dell’amore e della libertà”.

Questa estate (a Cossoine, SS, venerdì 4 agosto) darà voce alle parole di De André, coadiuvato dal giovanissimo Fabio Sias ed accompagnato dall’Orchestra Filarmonica di Genova Sestri Ponente, dal coro sassarese “Nova Euphonia” e dalla Corale Studentesca. Lo spettacolo vedrà la presenza sul palco di 130 artisti tra musicisti, attori e ballerini.
Dobbiamo aspettarci uno show monumentale?

Ah sì, decisamente! E’ lo spettacolo più grosso a cui ho mai partecipato e ad oggi non ho la più pallida idea di quali dinamiche dovremo affrontare. Quando me l’hanno spiegato per la prima volta, il dicembre scorso, ho pensato: “ma voi siete matti da legare” e pensavo a quali cose tagliare per renderlo più semplice, quali interventi eliminare, ecco, il tipico atteggiamento da perdente. Quando una cosa non la conosci cerchi di renderla più simile a te ignorando ciò che ti è distante ma è proprio in quella distanza che c’è l’opportunità di crescita. Ora procederemo un passo alla volta da qua ad agosto ed affronteremo i problemi coi tempi giusti, senza affanno.

 

Lei ha innegabilmente “cavalcato” l’affinità timbrica con Fabrizio De Andrè…oggi però si definisce interprete e non impersonator. Che tipo di lavoro ha fatto su se stesso per raggiungere questo risultato, per emanciparsi dalla figura del mero emulatore?

Beh, intanto c’è una differenza sostanziale tra i due “mestieri”: l’impersonator deve per forza di cose rinunciare a se stesso per cercare di diventare colui che impersona, l’interprete invece ci tiene alla sua personalità e cerca di metterla a disposizione della canzone.
Il lavoro è andato avanti su due fronti: quello musicale e quello personale.
Dal punto di vista musicale ho sempre sofferto il ruolo di cantante, ovvero colui che di musica non capisce niente ma si becca gli applausi. I musicisti che han studiato per lo più scherniscono i cantanti, nella migliore delle ipotesi, e parlano tra di loro un gergo che fino ai trent’anni ho compreso ben poco. E’ iniziando a suonare coi i grandi della musica italiana che ho dovuto mettermi sotto e imparare quel linguaggio, imparare la teoria e i rudimenti di tutti gli altri strumenti. Oggi mi considero finalmente un musicista e non solo un cantante.
Poi per interpretare devi avere una personalità tua, non artificiale e possibilmente riconoscibile. Questo è il lavoro più difficile e soprattutto i risultati non sempre sono visibili nel breve periodo. E’ un continuo work in progress!

 

Ha all’attivo sette dischi, di cui due contenenti brani originali. In cantiere c’è un nuovo progetto discografico?

Sì, ho voglia di dire qualcosa di scomodo. Penso che il periodo sia quello giusto, il malumore generale è palpabile e i mainstream propongono solo il disagio degli adolescenti, ovviamente per una scelta economica e non certo politica.
Vorrei rivolgermi ad un pubblico più adulto, alla mia generazione, colpevole di questo disastro sociale.
Ora la testa è nella preparazione dei concerti estivi ma da ottobre mi ci dedicherò anima e corpo.

Un ringraziamento a la stanza nascosta records

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