Oggi abbiamo il piacere di conoscere la band dei Cosmedia in occasione dell’uscita del disco d’esordio “Dal momento che”. Questo nuovo lavoro è una fotografia emozionale della complessità delle relazioni interpersonali, catturata da angolazioni diverse, riflettendo il tema universale del
senso di inadeguatezza. Nell’album, scoprirete una serie di “primi piani” emotivi, con brani come “Impossibile da amare” e “Saudade”, che svelano le sfumature più intime delle connessioni umane. Tuttavia, ci sono anche affascinanti “panoramiche” sonore, come “Magari” e “Puzzle”,
che abbracciano l’ampia gamma di sfaccettature nelle relazioni.
Ma il vero punto focale di “Dal momento che” è l’idea di foto sfocate, dove la difficoltà di essere riconosciuti emerge come elemento centrale. Brani come “Marzo ed io” e “Dinamiche” esplorano il terreno instabile delle interazioni umane, dove il confine tra realtà e illusione si fa sfumato.
Musicalmente, l’album attinge ispirazione dagli ampi filoni dell’alternative rock degli anni ’90 e 2000, ma anche dalla scena post-punk di fine anni ’80, tutto arricchito da linee vocali che sfiorano suggestioni più pop.
Ciao ragazzi e benvenuti su The Front Row. Come prima cosa presentateci la formazione della band e da dove venite.
Ciao! Noi veniamo tutti dalla provincia di Benevento, e la band è composta da Antonio Bosco (seconda voce e tastiere), Mario De Vita (voce principale e basso), Giuseppe Pilato (chitarra) e Gianluca Alterio (batteria)
Parlateci un po’ del nome della vostra band: come nasce e che significato ha per voi?
Il nome della band nasce dall’esigenza di trovare un nome che richiamasse la musica italiana, dopo essere passati alla composizione in italiano da quella in inglese. Abbiamo optato per Cosmedia fondendo vari concetti: le nostre canzoni sono commedie, perché non c’è nulla di tragico nei nostri brani nonostante le paure, le delusioni e le amarezze di cui cantiamo. Tutto prosegue con un nuovo inizio. Potrebbero intendersi cosmiche perché riguardano l’universo, o potrebbero intendersi cosmetiche perché stanno bene a coprire i lividi. A ognuno la sua interpretazione.
Siete al lavoro su un nuovo album o lo state per pubblicare? Se sì, parlatecene un po’ altrimenti come descrivereste l’ultimo lavoro che avete realizzato e cosa possono aspettarsi gli ascoltatori dalle vostre canzoni?
In realtà siamo al lavoro sulla composizione di un nuovo album, ma avendo appena pubblicato il nostro esordio ci sembra prematuro parlare di pubblicazioni imminenti, quello che possiamo dire è che di sicuro stiamo vivendo un’evoluzione nel nostro sound sulla quale lasceremo il giudizio agli ascoltatori.
L’ultimo – e unico – lavoro realizzato è un album che copre un po’ varie sonorità, seguendo principalmente il filone alternative rock degli anni ’00. Abbiamo cercato di farci guidare dalle nostre passioni musicali cercando di mantenerci originali, creando qualcosa di nuovo sul panorama
italiano. Anche qui, saranno gli ascoltatori a stabilire se ci siamo riusciti o meno.
Ora parliamo della vostra discografia e carriera: qual è stata la prima cosa in assoluto che avete mai registrato, cosa avete inciso fino ad oggi e quante esperienze dal vivo avete avuto?
La prima cosa che abbiamo registrato è stato un EP intitolato “Uno spiacevole incidente”, tramite il quale la nostra etichetta discografica ci ha scoperti e contattati, che conteneva due tracce dell’album “Dal momento che” più un altro brano che abbiamo deciso di scartare.
L’anno successivo abbiamo lavorato al nostro album prima di entrare in studio.
Quale vostra canzone consigliereste a chi non vi ha mai sentiti?
Probabilmente “Marzo ed io”, il nostro secondo singolo, è un brano che raccoglie un po’ tutte le nostre influenze e mostra chi siamo.
Qual è finora il momento più bello e/o importante da quando siete una band?
Di momenti importanti ce ne sono stati, tra cui la firma del contratto discografico, la registrazione del nostro album, quella del nostro videoclip, o anche le pubblicazioni. Ma, credo che possiamo tutti concordare nel dire che il momento più bello è stata la partecipazione al Tour Music Fest: le
semifinali a Firenze e la finale nazionale a San Marino ci hanno permesso di conoscere tantissime persone, tra cui musicisti come noi, producer, critici, e di acquisire una consapevolezza forte sulla nostra musica grazie ai feedback ottenuti. Inoltre, viaggiare insieme in queste esperienze ci aiuta a creare un legame anche più forte come band.
Chi è il principale compositore del gruppo? Usate qualche metodo per assemblare tutte le idee che vi passano per la testa?
Per il nostro album, quasi tutti i brani sono stati inizialmente composti da Antonio, altri da Mario, ma poi in sala prove gli arrangiamenti e spesso le armonie vengono trasformate e si evolvono grazie all’apporto artistico di tutti i membri del gruppo. Si lavora in sintonia molto spesso, ma le
trovate migliori a volte nascono da sessioni di scontri e discussioni a causa di punti di vista diversi.
Essere in una band vuol dire questo, altrimenti ci sarebbe una sola mente e tanti turnisti.
Parlateci un po’ dei vostri testi: chi è il songwriter principale e quali sono gli argomenti che preferite trattare? E poi, meglio la lingua inglese o italiana?
Il principale compositore dei testi è Antonio, anche se, stesso discorso che vale per gli arrangiamenti, spesso con l’aiuto di tutti subiscono delle modifiche, soprattutto visto l’apporto di Mario all’affinamento nelle linee vocali. C’è una buona collaborazione, da questo punto di vista. La
scelta della lingua italiana è stata quasi obbligata per poter entrare nel mercato discografico, ma non si può rispondere in maniera semplice a questa domanda, non c’è una lingua migliore.
Quando facevamo musica in inglese era infinitamente più semplice comporre i testi, più musicali e scorrevoli, inoltre è una lingua molto più immediata ed è incredibilmente più comodo inserirla in metrica. L’italiano è una lingua complicata, molto meno malleabile; inoltre, essendo la nostra lingua madre, cantare certi testi ha un impatto emotivo molto più forte e tutto può risultare più sincero. Riguardo gli argomenti, preferiamo sempre trattare di temi che conosciamo, esperienze che abbiamo vissuto o che hanno vissuto persone vicine a noi. Per la maggior parte si tratta di conflitti, perché è da lì che nasce l’arte, non avrebbe senso celebrare solo le cose belle, non ci sarebbe niente da narrare.
Quant’è importante per voi l’attività live di una band e quant’è determinante, secondo voi, la presenza scenica e perché?
L’attività live è fondamentale per una band, è lì che l’anima viene fuori realmente. Poi, c’è il contatto con le persone che hanno ascoltato la nostra musica, e possiamo restituirgli con la passione e l’impegno quello che loro ci hanno dato supportandoci. Per chi con la musica ci vive o
intende viverci, inoltre, fare musica dal vivo è praticamente quasi l’unica fonte di remunerazione per un artista.
Riguardo la presenza scenica, temo che ultimamente abbia acquisito un’accezione piuttosto negativa, come se fosse un attributo da acquisire o come se bisognasse esercitarsi a fare i pagliacci sul palco per attirare l’attenzione. Personalmente, per me non esiste la presenza scenica: se io
sono su un palco, sono presente, e ti sto mostrando chi sono attraverso la mia musica, è quella la mia presenza scenica, non devo fare ciò che non sento di fare.
Certo, c’è una regola fondamentale per essere presenti: non perdere mai il contatto con il pubblico. Se le persone si sentono escluse dal tuo concerto, non si sentiranno coinvolte. Non bisogna mai dimenticare che c’è un pubblico, che va sempre rispettato, ma in maniera sincera,
non costruita. E le persone se ne accorgeranno.
Quanto conta, secondo voi, il look di una band al giorno d’oggi? Voi avete un vostro “dress code” oppure salite sul palco come capita?
Il look fa sicuramente parte dell’immagine e della personalità di una band, però già quando si parla di “personalità di una band” si fa una forzatura. Le band sono composte da individui, ognuno diverso e ognuno con una sua identità, quindi creare un look di band per forza di cose costringerà qualcuno a essere una persona diversa da chi è di solito.
Piuttosto, noi puntiamo ad avere un’immagine coerente tra di noi, cercando l’armonia nel nostro abbigliamento (stilisticamente e cromaticamente), piuttosto che presentare una conformazione unica.
Cosa possono aspettarsi i ragazzi che vengono ad assistere ad un vostro show?
Di assistere a musica live suonata con il cuore. Non c’è altro da aspettarsi, il resto sono sorprese. Un vostro parere sulla scena italiana e suggerimenti per accrescere il movimento underground sempre più affollato; inoltre vorremmo che ci indicaste quali sono, secondo voi, i migliori gruppi italiani del momento.
Per accrescere il movimento underground basta semplicemente continuare a produrre musica indipendente; poi, quando qualcuna di quelle band emerge dalla scena, non si tratta più di underground ma si sfocia nel grande mercato mainstream, che è il mercato di chi ce l’ha fatta. Se
poi qualcuno ce l’ha fatta senza tradirsi e senza tradire il pubblico, allora si può dire che mainstream non sia una parolaccia. Basti pensare ai mostri sacri della musica italiana, come i Verdena, i Marlene Kuntz, i Subsonica, che rimarranno un esempio per tanti che anche oggi
iniziano a fare musica.
Parlare di migliori gruppi italiani del momento non è semplice, perché il mainstream italiano contemporaneo si discosta un po’ dal nostro concetto di musica, ma di sicuro continuiamo a sostenere sempre la scena underground locale, più che possiamo.
Se, fantasticando, poteste scegliere un producer con il quale lavorare, chi scegliereste?
Forse Rick Rubin o Alberto Ferrari.
E con quale musicista/gruppo realizzereste invece una canzone (o un remix) assieme?
Non ci abbiamo mai neanche pensato. A meno che non sei nella scena hip hop (e non è il nostro caso), le collaborazioni devono nascere da un’esigenza artistica precisa, cioè quella di unire la propria espressione a quella di qualcun altro, che spesso arriva in un momento avanzato della carriera musicale. Dobbiamo prima trovare la nostra voce, poi ci penseremo.
Prima abbiamo parlato dei gruppi ai quali vi ispirate di più per il genere che fate. Ora invece vorrei parlare dei gruppi che vi hanno cambiato la vita, anche di tutt’altro genere. Quali sono i vostri gruppi o cantanti preferiti e quali vi hanno spinto a voler diventare musicisti?
È molto complicato rispondere a questa domanda a nome di tutti, in realtà. Sicuramente bene o male tutti condividiamo una passione per il post-punk/darkwave/new wave (ad esempio i Joy Division, New Order, The Cure, The Smiths), scena che poi si evolve in garage (come gli Strokes, o i contemporanei Fontaines D.C.), ma siamo tutti cresciuti ascoltando il rock dei Red Hot Chili Peppers. La magia è avvenuta per ognuno di noi con qualcuno di questi gruppi, potrei aver dimenticato qualcosa, ma come dicevo siamo in tanti, con tante influenze.
Ultima cosa: lasciate un breve messaggio di saluto che possa anche convincere le persone ad ascoltarvi.
Grazie per aver letto le nostre risposte! Se non siete convinti finora, nient’altro vi convincerà ad ascoltarci; la musica non è marketing e, per fortuna, noi musicisti non siamo venditori. Spero comunque abbiate l’occasione di ascoltare i nostri brani e darci l’opportunità di trasmettervi
qualcosa, qualunque cosa, anche piccola. Ne saremmo felici in ogni caso.