Per una serata l’Alcatraz di Milano è diventato una sorta di tempio pagano con 3 show di altrettanti artisti che incarnano perfettamente, anche se in modo diverso, la “cultura nordica”.
Già entrati nel locale l’atmosfera che si respira è più quella di un bosco con un rilassante sottofondo fatto di cinguetii e rumori della foresta. Il pubblico stesso sembra uscito da un episodio di “Vikings” e riunito per un rito. Presenti in sala anche numerosi “cosplayer”.
Ad aprire la serata un’artista romana, Lili Refrain, già nota non solamente in Italia ma anche in Europa e fortemente voluta come supporto dagli stessi Heilung. Il suo progetto musicale da “one woman band” è fatto di continue stratificazioni di strumenti, che vanno dalla chitarra, alle percussioni, alla voce, a sintetizzatori, suonati e registrati in tempo reale, creando così una struttura sonora che richiama l’antico ma in chiave moderna. La sua padronanza tecnica unita alla sua comunicatività riesce a riscuotere l’entusiasmo del già numeroso pubblico presente, nonostante l’orario di inizio.
A seguire sul palco Eivor, cantautrice faroese, che vanta già una vasta produzione discografica e prestigiose collaborazioni che l’hanno portata a comporre brani per serie televisive e giochi di ruolo. Non a caso l’apertura è dedicata al brano omonimo da “The last kingdom”, da cui verrà eseguita anche “Lívstræðrir” che probabilmente resta il brano più conosciuto. Il suo cantato, che alterna suoni gutturali a modulazioni liriche, è accompagnato da un solo altro strumentista, alle tastiere. Anche qui si può parlare di una sorta di “folk nordico” attualizzato. L’esibizione dura solo mezz’ora, ma quanto basta per trasmettere tutta la poesia contenuta nella sua musica.
Poco prima delle 21, quando si abbassa il telone che nasconde parte del palco, ci si trova immediatamente proiettati in un bosco dove imponenti rami di albero sovrastano la strumentazione usata dagli Heilung. Lo show si apre con l’aspersione dell’incenso di uno dei componenti della band che prepara l’ingresso al resto del gruppo.
Raccolti in un cerchio, tenendosi le mani, danno inizio al “rito propiziatorio” (“Opening ceremony”). Da questo momento in poi inizia il ritmo incalzante dei tamburi e delle percussioni, colonna portante del sound della band a cui si aggiungono solamente le voci dei venti e più componenti, tra musicisti veri e propri e i cosiddetti “Guerrieri Heilung”, che imbracciano lance.
A volte si ha la sensazione di assistere più ad una perfetta “rappresentazione” teatrale che ad un concerto vero e proprio.
Ogni movimento sul palco sembra ricreato per trasmettere uno spaccato della vita ai tempi dell’età del ferro o dell’epoca vichinga, con le lotte, i riti religiosi, la morte, l’estasi quasi dionisiaca che si raggiunge con le danze sfrenate. In tutto questo, sia gli uomini (in atteggiamenti guerreschi) e le donne (vestite con tuniche o a seno scoperto) hanno un ruolo ben definito, ma paritario.
È un crescendo di emozioni che portano al finale in cui “il cerchio” si richiude per la cerimonia finale: il gruppo si ricompatta e poi si rivolge verso il pubblico, sfilando in segno di ringraziamento.
Si ringrazia Jacopo Casati di Vertigo per il gentile invito.
Testi a cura di Åureliø Hyeråce
Foto in gentile concessione di Vincenzo Nicolello