Siberia Reloaded 2016, dopo 32 anni abbiamo ancora bisogno dei Diaframma

Artista: Diaframma
Album: Siberia Reloaded 2016
Etichetta: Diaframma Records/Self

Diaframma

Era il 1984, le creste punk lasciavano teneramente spazio a sentimenti indecifrati e vuoto cosmico, ereditato dall’angoscia dei capovolgimenti politici e dallo sbando sociale che intravede il tramonto delle ideologie. A Firenze vanno in scena dei ragazzi dalla vena poetica, capaci di celebrare la new wawe intimista e simbolista a colpi di chitarre ripetute, batteria al collasso e testi dalla traccia oscura e cupa. Sono i Diaframma, eroica band che, almeno nel nome, resiste al passare del tempo, anche grazie alla longevità creativa del leader Federico Fiumani, guru dal sapore decadente a cui un’intera generazione di new wavers italiani ha fatto riferimento. Copiati, idolatrati e anche talvolta criticati, i Diaframma tornano alla ribalta con Siberia Reloaded 2016, non una semplice rievocazione delle vecchie canzoni, ma un album in cui si reincidono le tracce di un lavoro fondamentale, con aggiunta di sei canzoni poste alla fine del disco e di passaggi strumentali scritti da Gianni Maroccolo (membro dei Litfiba e CSI, basta questo a garanzia?). Nuovi arrangiamenti e nuova formazione. E così, accanto alla voce del sempreverde Fiumani, spazio a Edoardo Daidone alla chitarra, a Luca Cantasano al basso, e a Lorenzo Moretto alla batteria, compagni di viaggio nella ricomposizione di un disco simbolo di una generazione di nuovi rocker decadenti. La poesia in musica come arma da combattimento per comtrastare il presente, con riff taglienti e una voce profonda e ossessiva, impossibile da dimenticare. Ecco Siberia Reloaded 2016. Eccola la Siberia evocata dal gruppo fiorentino, ancora tremendamente reale e capace di seminare attenzioni e sold out ai concerti. Il paesaggio siberiano è quindi il panorama ideale in cui si mimetizzano freddo e desolazione, nella celebrata strada che Fiumani dice di non poter vedere, mentre oltre il muro si celano ghiaccio e silenzio. Una prima traccia che la dice già lunga sulla capacità compositiva di nostri Diaframma, stretti tra densità intima nascosta in stanze d’albergo (Neogrigio) e speranza disilluse in tiepidi sorrisi (Impronte). Tra i cori decadenti e il controverso viaggio nella mente del poeta, è sicuramente Amsterdam a lasciare di nuovo il segno, complice anche l’assolo che segue alla ripetuta litania del giorno ferito, ma impazzito di luce. E mentre l’alternanza tra pezzi strumentali e vecchie canzoni segna il passo rendendo ancora più offuscata l’aria sonora, si afferma il brano Delorenzo, bomba a orologeria che sente il lento ripetersi del tempo come una spada sopra la testa.
Tra altri suoni romantici e perduti, si arriva poi agli ultimi sei brani, nuove composizioni che i Diaframma regalano a curiosi e fan della prima ora. In Same il suono muta verso ritmi più corposi e la voce di Fiumani sembra quella di un Mark Kozelek trapiantato di forza sulle rive dell’Arno. Envcelado è invece una lunga marcia che spinge sino all’esplosione del ritornello, costruito su una distesa di suoni narcolettici e ripetitivi, come la pioggia che cade sulle teste di chi si spinge ad ascoltare questa musica vera e profonda. Seguono i versetti di Niente (a tratti al limite dello spoken word), Non morire (urla sgraziate come risposta al nulla) e Lanterna cieca (chitarra acustica e ritmi più elevati). Chiudono, nell’attesa di vederli nel tour di novembre, le parole al vetriolo di Taranto 1982, con tanto distorsioni e cruda realtà mescolate ad un brano che non ha nulla da invidiare ai primi Diaframma, tornati per esistere e farci esistere.

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