Autore: Spread
Album: Vivi per miracolo
Label: Autoprodotto
Un’opera rock a 360 gradi, in cui la voglia di esprimersi segue canoni libertari e tanta passione. Gli Spread sono un gruppo d’assi che si muove dove vuole, tra bordate prog, psichedelia, e arguzie di stralunato alternative rock.
Un nome che evoca strani rigurgiti di epoca politica malsana (non che ora sia meglio, intendiamoci), ma una scrittura che non ha alcun riferimento diretto in tema di politico o attuale, ma una capacità di andare oltre regole e i muri, sin dall’iniziale Trampolino, dove i muri alzati dall’indifferenza si sgretolano in un mare nostrum di chitarre e ritmi diversificati. Sembra di sentire i Lombroso, in un indomita rilettura delle loro capacità di essere solidi, proprio come il suono degli Spread.
In Sottinsù prevale la melodia, agganciata in una miscela di schizofrenie al gusto rock, con ritmi che salgono e si proiettano nelle ritmiche tipiche di un brano divertente e mai domo come “Vivi per Miracolo”. Handclapping e voce baritonale, mischiata con un groove rock alla Vertical. Il cantato in italiano richiama poi la vecchia scuola in un pezzo come Koskoosh, spingendo invece per tenui ritmi che assumono la connotazione psichedelica in un crescendo di percussioni in perfetto stile world music.
Dietro la macchina Spread si nascondono le trame del mixer di Alberto Ferrari, mentre il fratello Luca suona le percussioni quando serve, aiutando il quartetto a essere sé stesso, con l’ausilio dei due Verdena. La dinamica del loro suono non può che ringraziare, con tratti musicali che in Fedora si appendono alle riuscite sperimentazioni progressive, con effetti grotteschi e sopra le righe che danno un tono di pura epoca sixties al lor ambiente. Gli Spread sembrano qui direttamente usciti da un set di un film stile Big Lebowski, tramutatosi in un b-movie con effetti elettronici nella successiva canzone Spaghetti, aglio e odio.
Tanto sudore e poche chiacchiere, dietro un progetto interessante e poliedrico, dalle trame rock e dal sapore di uno Spread che risale gli indici di borsa e si schianta in un groviglio di sonorità rock, per riempire le mani di quel “Fuoco di paglia” che loro profetizzano sul finale con una stralunata acidità rock.
Andrea Alesse
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