Sabato 20 aprile 2024, ore 20.00, il cantautore cagliaritano Matteo Sau presenterà il nuovo album “Quanto mi costa la felicità”, prodotto e distribuito da La Stanza Nascosta Records, nei suggestivi spazi di Casa Saddi, antica casa campidanese che, dalla fine del 2017, ospita spettacoli, mostre, concerti, rassegne teatrali.
Sul palco con Matteo Sau (voce e chitarre) Ivana Busu (fisarmonica e synth), Gianluca Pischedda (violoncello), Andrea Lai (basso), Antonio Pinna (batteria e percussioni).
Sau firma testi e musiche, avvalendosi, per gli arrangiamenti, dell’apporto del musicista e produttore Salvatore Papotto. L’album, uscito lo scorso 21 marzo su tutte le maggiori piattaforme digitali, è ora disponibile anche su supporto fisico.
L’illustrazione di copertina e l’artwork sono di Manuel Putzolu per MangioDesign.
The Front Row ha incontrato il cantautore per una chiacchierata.
Sabato prossimo presenterai il tuo nuovo album a Casa Saddi, un’antica casa campidanese dei primi del Novecento che ospita mostre, eventi culturali e musicali, spettacoli e concerti, laboratori di arti varie…quanto è viva, culturalmente, la tua terra?
«La Sardegna, fortunatamente, è una terra che ha nella cultura una grandissima fonte di espressione e narrazione di sé stessa. Oltretutto è bello sottolineare l’eterogeneità delle produzioni artistiche che hanno uno spettro davvero ampio. Casa Saddi (così come altri luoghi) sono delle oasi in cui è possibile avere degli approdi per condividere il proprio prodotto artistico con un pubblico. Non è una cosa assolutamente scontata anche perché la vitalità culturale non sempre fa il binomio con il sostegno al mondo della cultura che fatica spesso a sopravvivere».
“Quanto mi costa la felicità” è il tuo ultimo lavoro in studio. Possiamo definirlo un concept?
«Sì, perché comunque ha un unico filo conduttore che lega le storie raccontate nelle canzoni. Non c’è un legame tra i brani che viaggiano (da un punto di vista narrativo) in maniera autonoma. A legare i personaggi è la suggestione perché ognuno di loro, in un momento che io ho cristallizzato nel brano, si sono posti il quesito sul prezzo della loro felicità. Da questo punto di vista è sicuramente un concept, anche perché io immagino tutti i personaggi arrivare in una piazza, fermarsi e raccontare la propria storia alle persone e poi ripartire. Da un punto di vista musicale il disco si apre e si chiude con lo stesso tema, come ad accompagnare un ingresso e un’uscita di scena. Anche la copertina del disco rappresenta questa suggestione perché immortala un angolo di città in cui è possibile incontrare i protagonisti e le protagoniste del disco».
Qual è il personaggio del tuo ultimo disco cui sei maggiormente legato?
«È difficile per me fare una scelta perché ovviamente sono tutti pezzi di anima e di cuore. Però dovendo proprio scegliere ho uno sguardo particolare- penso- al protagonista del brano che dà il titolo all’album, perché è un sognatore, una persona che, nonostante i continui fallimenti, non si arrende. Insomma, ha un atteggiamento quasi stoico nei confronti delle sue disavventure, che poi sono fondamentalmente questioni di cuore di un adolescente. A quell’età però (per fortuna) sono salite faticosissime da affrontare. Poi penso a “Ingresso tesserati” perché racconta di chi lasciava una vita misera in Sardegna per andare a cercare fortuna dall’altra parte del mondo e di fatto trovava una miseria straniera, trovando un po’ di consolazione e sperando nell’amore in serate per connazionali decisamente tristi».
I cantautori sono ormai una minoranza inascoltata o c’è spazio per una nuova canzone d’autore italiana?
«Non so se si possa definire una vera e propria minoranza, sicuramente il cantautore o la cantautrice rappresentano figure meno presenti nel panorama musicale, almeno rispetto al periodo d’oro e mi riferisco agli anni d’oro del Novecento. Voglio pensare, però, non sia inascoltata perché altrimenti dovrei prendere atto di una realtà terribile artisticamente. Ci sono tantissime persone che amano i cantautori e hanno la curiosità di ascoltare i nuovi cantautori. In una grande pluralità da un punto di vista artistico è naturale che si creino delle platee più o meno grandi».
Che peso hanno nella tua produzione i testi? Come avviene, normalmente, la loro stesura?
«Sono fondamentali. Non ho minimamente l’ambizione di imporre insegnamenti o fare opinione con le mie canzoni, ma sicuramente ho quella di poter raccontare storie. Per farlo ho bisogno delle parole, anche per avvicinarle e affiancarle in modo che possano rappresentare un viaggio emotivo e non solo narrativo. La stesura parte da un racconto che solitamente ho nella testa, fatto di immagini, suoni, profumi e sensazioni. Comincio a cantare il racconto, solitamente improvvisando accompagnandomi con la chitarra o il pianoforte e lo faccio tantissime volte fino a che non capisco che le parole restituiscono in maniera efficace il mio racconto. Poi mantengo le cose belle (a volte improvvisando e lasciandomi andare succedono) e comincio a riscrivere parti, limarne altre sino a che non penso che il testo possa essere giusto. Ovviamente, non penso mai che un testo sia “finito”, così come i brani, perché ci metterei mano ogni volta che me lo ritrovo davanti. Però arriva un momento in cui mettere la parole “fine” e così faccio».
Un disco che vorresti andasse in cinquina al Tenco (a parte il tuo!)?
«Sceglierne uno non è possibile e non sarebbe carino. Spero naturalmente che il mio possa andare in cinquina, sapendo che ci sono tantissimi dischi che lo meritano e ai quali auguro il meglio. Ho fatto pace con l’effetto concorrenza che non significa non avere ambizioni, ma prendere atto che fortunatamente c’è tantissima musica con cui preferisco avere un incontro piuttosto che uno scontro».
La voce femminile alla quale regaleresti volentieri una tua canzone?
«Questa è una domanda veramente difficile. Adoro collaborare con musicisti e musiciste e penso che ogni collaborazione lasci qualche esperienza emotiva importante. Sarei molto molto curioso di sentire una voce femminile di artiste che mi piacciono eseguire un mio brano. Devo dire, però, che se proprio potessi avverare un sogno cederei una canzone con la supplica di cantarla assieme, perché sarebbe per me un’esperienza ancora più bella. Quindi dopo una difficilissima opera di cernita, mi piacerebbe tantissimo cantare una mia canzone con Carmen Consoli, cantautrice che reputo davvero particolare sia per scrittura che per musica. E poi Gianna Nannini: la sua voce è un continuo graffio nel cuore e i suoi brani raccontano vite piene di emozioni di diverso tipo. Ecco, riuscire a duettare con una di loro (ma penso davvero anche tante altre) sarebbe un sogno che si realizza».